Posted by on 25 gennaio 2015

 
 
 

PADRE VITTORIO

Svolge “normale” attività parrocchiale nella jungla filippina

Canossiano – Jipapad, Samar, Filippine – dal 1973

 

A scrivere non è padre Vittorio perché la testimonianza scritta non ci è mai arrivata. Semplicemente perché, negli ultimi mesi, il padre non è riuscito a raggiungere un punto con connessione internet per farci avere il materiale in tempo per la pubblicazione.

Anche questo serve per far capire la lontananza con cui padre Vittorio opera in mezzo alla giungla e a farvi intuire le enormi difficoltà che abbiamo avuto noi per contattarlo e raggiungerlo.

Quando siamo arrivati presso il suo piccolo villaggio lui non c’era. Ci è stato detto che sarebbe arrivato più tardi in quanto si trovava in un villaggio “vicino” per celebrare un funerale.

Verso le sette di sera intravediamo, tra le fioche luci del porticato che ci riparava da una pioggia battente, un ometto infangato e sporco avanzare con passo deciso e con piglio energico.

La croce al collo intagliata nel legno e il suo italiano non lasciavano dubbi. “Buonasera Padre!”, ci venne spontaneo.. I dubbi e le perplessità pero’ nascevano dall’abbigliamento e dalle condizioni dell’abbigliamento! Sembrava un muratore bergamasco piuttosto che un prete in ritorno da una funzione.

Persona speciale e franca Padre Vittorio, come tutti quelli incontrati in questo progetto, caratterizzato da quella forte personalità che ormai è divenuta tutt’uno con l’ambiente che lo circonda e che lo avvolge tutte le notti prima di dormire.

Solo lui avrebbe potuto vivere in quella parte di giungla e solo lui sarebbe riuscito a viverci completamente solo! Ricordo che ci raccontava che i rientri in Italia li viveva con una difficoltà enorme e in modo particolare il viaggio in aereo: era per lui un supplizio penitenziale.

Stiamo parlando di un prete che per andare a celebrare un funerale fa tranquillamente 4 ore di camminata nella foresta (solo andata), senza curarsi se piove o c’e’ il sole battente o se il sentiero sia infangato, anche perché in una foresta tropicale queste sarebbero preoccupazioni inutili. Per lui e’ normale attraversare i ponti delle scimmie, così chiamati per la difficoltà nell’attraversamento, così com’e’ normale litigare con i militari che stanziano sopra il suo piccolo villaggio, tanto aver ricevuto più di una volta la promessa di una pallottola in corpo, se avesse continuato nel suo lavoro.

Per quanto io abbia molte riserve sull’evangelizzazione INDISCRIMINATA, devo ammettere che il lavoro di Padre Vittorio mi ha colpito quotidianamente in tutti quei giorni di permanenza: la determinazione, la forza e il coraggio con cui lui portava avanti il suo credo mi dava la sensazione di stare a testimoniare un valore senza tempo.

In quei giorni in cui Valeria ed io seguivamo, a fatica (fisicamente parlando), l’attività parrocchiale del padre, mi venne alla memoria una frase citata da Martin Luther King: “se un uomo non ha scoperto qualcosa per cui è disposto a morire, non è degno di vivere.”

Con Padre Vittorio quella frase prese senso, e se possibile forma.

(Progetto e fotografie di Luciano Perbellini)

 

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