Posted by on 20 luglio 2016

 
 
 

Non esiste viaggio in cui non si attraversino frontiere di Paola Palmaroli 

Non esiste viaggio in cui non si attraversino frontiere, non solo fisiche e politiche, ma anche culturali, linguistiche, mentali ed oltrepassandole si cominciano ad amare come nelle immagini di Ando Fuchs. Viaggiare non significa esclusivamente superare dei confini, ma anche rendersi conto di trovarsi dall’altro lato degli stessi.

Le montagne permettono di osservare un confine invalicabile e dietro di esso di scoprire cosa ci sia di noto o di ignoto, qualcosa talvolta di familiare ma anche di misterioso. Qualsiasi viaggio che intraprendiamo può assumere questa doppia valenza. Ciò che ci sembra familiare, può rivelarsi invece sconosciuto, e ciò che invece ci sembra straniero, può essere più vicino a noi di quanto possiamo immaginare.

Nelle fotografie di Ando Fuchs sembra di vivere in prima persona quelle vette che emergono da un nulla che attira, che è ammantato dei nostri sogni e dei nostri desideri, delle paure e di fascinazioni verso il senso dell’assoluto. La montagna delimita non una ma mille frontiere che non sono solo un confine politico o geofisico, ma possono essere linguistiche, mentali, culturali.

Guardare verso una montagna, fendere le nebbie e la foschia che ne nascondono le cime, conquistarle con gli occhi e poi con il proprio corpo, fotografarle, a cosa serve? Fotografare come viaggiare implica la scoperta di un luogo per oltrepassare i confini fisici imposti dallo stesso. La montagna generosamente svela i nostri limiti, le paure ancestrali, ci fa sentire umili e ci purifica, si riscopre ciò che sappiamo già, si impara quello che non conosciamo di noi stessi. Fotografare una montagna è come conquistarla con lo sguardo, inerpicarsi per sentieri che alla mente non concedono alcun rifugio solo sfide, significa decidere di allontanarsi dalle proprie certezze per scoprirne altre, avvicinarsi a mete sconosciute, a nuove idee ed emozioni, fissandole per sempre su una superficie significante.

Mettendoci in viaggio con una macchina fotografica ci carichiamo di una valigia piena di nostre considerazioni ed idee, l’obiettivo è di ritornare con un’altra valigia, con un nuovo bagaglio culturale ed umano che ci ha arricchiti e ha reso l’esperienza unica in tutti i sensi, fotografie che rimarranno fissate per sempre nella nostra memoria.

Noi siamo quale è la nostra memoria e negli scatti di Ando Fuchs si scopre che la montagna sublima il mondo intero, il suo viaggio diventa il nostro, la sua ricerca una scommessa per scoprire un qualcosa di nuovo che contenga nello stesso tempo conoscenze sedimentate da tempo immemorabile.

Veder emergere quei picchi, quelle forme ben definite dalla nebbia, percepire le proprie radici conficcate nella terra, sentire la solidità di un cammino sotto ognuno dei nostri passi, è rassicurante e stimolante.

Ando Fuchs vede e scopre attraverso quelle rocce un percorso che pare non abbia mai ne inizio ne fine, proprio per questo così attraente e prezioso nella sua unicità, proprio per questo da fotografare per non lasciare andar via mai la tensione di sperimentarlo e di viverlo testimoniando tale privilegio, la via da percorrere e da definire, da fissare per sempre come obiettivo di vita.

 

Queste immagini mi evocano subito un’emozione epica di Franco Gobbetti 

Queste immagini mi evocano subito un’emozione epica, grandiosa, gigantesca e nello stesso tempo estremamente intima, raccolta, interiore, senz’altro mistica. Sono foto che trascinano l’intelletto e l’anima verso traguardi d’altezze, altitudini, elevazioni immense sia fisiche che metafisiche in un risucchio psicologico ed emotivo spaziale, temporale soprattutto spirituale, ma che rappresentano anche un rifugio terreno intensamente affettivo che materializza questi paesaggi come fossero un lancinante, strenuo abbraccio, una fortissima stretta affettiva, un rifugio intimo che induce al più interiore raccoglimento, alla riflessione e all’introspezione più profonda ed intensa.

In questi coinvolgenti paesaggi vi trovo un sovrumano silenzio, serena contemplazione anche se portata e tirata quasi agli estremi, fino ai più arditi e rarefatti confini dell’immaginazione e della coscienza. La mente ed il cuore si ritrovano in questi monumentali scenari a stretto contatto con evocazioni, coinvolgimenti ed echeggianti sensazioni che attivano o possono attivare struggenti quanto languide malinconie e dolci tristezze che frequentano la poesia e il misticismo più puro ed elevato.

C’è molta coerenza intenzionale o solo istintuale, perchè no, che ci accompagna in questo viaggio all’interno dell’emozione più vibrante. Un’emozione che si accende e si attiva sia per sollecitazioni visive ed estetiche ma anche contenutistiche e sostanziali per messaggi, simboli ed echi rimbalzanti e riflettenti tra quella vette, cime, conche e vallate, echi narranti ed evocativi di vario tipo ma sempre in condivisione con l’animo poetico ed emozionale.

Il paesaggio s’immerge ed emerge dalle nebbie e dalle foschie alternandosi in un’altalena estemporanea e temporale che valorizza i monti come fossero fortezze, castelli, roccaforti per poi aprirsi in serene, raccolte vallate animate da alberi quasi umanizzati e tranquilli tappeti erbosi.

Un monumentale, forte, accigliato e anche corrugato abbraccio di roccia si alterna all’accoglienza rassicurante delle conche e delle vallate che come sicuri grembi materni accolgono l’immaginazione, l’intelletto, l’emozione e la coscienza.

Questo teatro o anfiteatro montano tocca e fa vibrare le corde della commozione immergendo lo spettatore in un affascinante e coinvolgente scenario.

 

Paesaggi dell’anima di Ivano Mercanzin 

Ando è un grande fotografo ma questo i suoi numerosi estimatori lo sanno già, ma è ancor più grande per la sua discrezione, i suoi silenzi, il suo lasciar parlare le sue immagini, senza proclami, disquisizioni filosofiche o tecniche.

Siamo di fronte ad un artista, nel significato più puro di questo termine, un poeta per immagini, che racconta di sé e di noi attraverso le sue fotografie, narra la vita , a volte la malinconia, attraverso i suoi bianchi e neri rarefatti,  impalpabili, evanescenti che sembrano scomparire al primo soffio di vento e mutare in sogno.

Mi piace pensare questi suoi paesaggi come dei paesaggi dell’anima, immagini e sensazioni che Ando ci rilascia e deposita nei nostri occhi scambiandoci le nostre reciproche emozioni.

Grazie Ando per questi racconti che ci fanno sentire accanto a te, compagni di viaggio di questo nostro cammino insieme.

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