Posted by on 7 dicembre 2014

 
 
 

Svolge campagne informative nei villaggi africani sulla Noma, malattia rara e soprattutto sconosciuta. Due volte l’anno organizza e pianifica, con altre Organizzazioni non governative (ONG), gli interventi chirurgici e tutte le cure mediche necessarie per ricostruire i volti divorati dalla stomatite cancrenosa.

Bamako, Mali – dal 1996

 

La Noma (stomatite cancrenosa) è una malattia rara in un ambiente con altre emergenze più eclatanti e più numerose, e perciò ignorata.

E’ la malattia di una gente nascosta e dimenticata, i cui effetti cancellano il viso del malato, e quindi ancora di più lo nascondono dalla società, lo dimenticano.

Noi l’abbiamo incontrata in Africa, accompagnando dei bambini che sono stati poi operati in Svizzera. E la speranza nei loro occhi sulla scaletta dell’aereo.

La strada del nostro progetto è partita da una cellula dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Lì ho preso contatto con i responsabili e da lì sono stata inviata nel Mali per accompagnare un bambino affetto da una patologia non mortale.

Dieci giorni dopo ero nuovamente in Mali e ho avuto l’occasione d’incontrare la gente e di porre loro delle domande sulla Noma. La Noma è una malattia che si trasmette per contagio. Una malattia i cui casi sono in aumento, e di cui le famiglie, le persone, i bambini, gli adulti che l’hanno avuta non vanno fieri e non ne parlano. Anzi, i bambini affetti da Noma vengono maltrattati, lasciati senza cure. Mi sono detta che bisognava fare qualcosa!

Un giorno mentre camminavo ho visto un bambino affetto da Noma in fase acuta.

Con un’azione rapida ci siamo messi in azione mobilitando il Paese. Dalle informazioni raccolte mi resi conto che nessuno s’interessava a questa malattia. Il primo passo è stato dunque quello di attivare i servizi pubblici e ci sono voluti due anni e la collaborazione con il Ministero della Salute Pubblica del Mali per iniziare a lavorare sull’elaborazione del Piano Nazionale per la Noma.

Il tempo passava fin troppo in fretta e io ho dovuto costituire un’associazione, trovare dei fondi e iniziare a lavorare sul territorio, soprattutto dove i casi di Noma erano più frequenti, facendo opera di sensibilizzazione.

In effetti questa malattia si può prevenire. Abbiamo fondato una équipe e costituito un partenariato con il Ministero della Salute, abbiamo lavorato per sensibilizzare le comunità e rintracciare i casi affetti da Noma.

La risposta, l’accoglienza, l’attenzione e la collaborazione della popolazione indigena ci ha spinto a cercare di fare ancora più in fretta, e ancora di più.

Noi siamo continuamente in contatto con loro, viviamo con loro, condividiamo gli stessi momenti di vita, i pasti, il riposo, dormiamo a casa loro. Siamo oggi parte della comunità, e il nostro messaggio è ora diffuso anche nella loro lingua.

Noi abbiamo il dovere di migliorare le loro condizioni; ciò significa ridare ai malati un volto che permetta loro di avere un posto nella società civile, ma anche aiutarli a vincere la malattia migliorando la loro alimentazione. Prevenendola!

Sviluppare l’associazione non è facile perché la malattia non è presa in grande considerazione nel Paese. Noi da soli siamo una piccola équipe e abbiamo coperto solo una piccola parte del territorio. Oggi il problema più grande è arrivare a poter sensibilizzare in tempi brevi altre regioni del Mali affinchè tutte insieme possano affrontare la malattia.

Oggi lavoriamo in sinergia con altre associazioni medico-chirurgiche, e con la gente, che ci da amore, che ci insegna la forza della comunità e della solidarietà.. e ci considera coraggiosi.

Io voglio credere in quel coraggio. Voglio credere che ce la faremo!

Sylvie Pialoux

(Progetto e fotografie di Luciano Perbellini)

 

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