Posted by on 18 gennaio 2015

 
 
 

PADRE GAMBA 

Dà, nelle carceri, assistenza ai detenuti, e si adopera presso i governi affinché adottino sistemi carcerari più efficienti e rispettosi dei diritti umani.

Monfortano – Balaka, Malawi – dal 1978

 

Missionario da trent’anni in Malawi. Dopo aver aperto chiese e scuole su tutti gli altipiani della savana, mi e’ rimasto un sogno. Devo costruire una prigione.

Il sistema giudiziario del Malawi e’ uno dei rottami del colonialismo che ancora intasano tanti paesi africani. Inoltre, per la cultura Africana violare le leggi del villaggio vuol dire essere scomunicato e da qui la rassegnazione illimitata a qualsiasi cosa ti possa poi succedere. Il carcere, in Malawi, inizia prima ancora che ci arrivi, nelle celle di polizia. Accovacciati a terra e legati mani e piedi, a due a due, i carcerati vengono portati dal magistrato, forse dopo due anni dall’arresto. Il processo è condotto in lingua inglese, sconosciuta alla maggioranza della popolazione, e vedrà un pubblico ministero presentare l’accusa spesso difficile da provare perché con gli anni i testimoni non sono rintracciabili e i capi d’accusa dimenticati. Un avvocato d’ufficio, sempre in inglese, domanderà la clemenza perché l’accusato ha dei genitori anziani a casa ed è l’unico a saper costruire la capanna e lavorare i campi. L’accusa come nella maggior parte dei casi è il furto. Per un valore di 50 euro puoi venire condannato a dieci anni. Tanto il sistema coloniale difendeva le sue proprietà. Il magistrato poi parlerà di una pena esemplare che insegni al villaggio e a questa generazione di giovani irresponsabili la giustizia. La puzza che appesta le stanze racconta di generazioni di disperati. La confessione del reato è la scorciatoia da sempre seguita. Per “aiutarti a ricordare” i mezzi sono tanti e la polizia si impegna ad insegnarteli tutti. Dopo questa esperienza il carcere è una benedizione e il rischio di restare per anni in attesa di giudizio è accettato come una procedura normale.

Il carcere di massima sicurezza di Zomba, costruito nel 1913, da anni dovrebbe essere stato demolito perché i suoi muri sono intasati dalla scabbia che apre piaghe infette a tutti i carcerati; dove le zanzare a nugoli si nascondono per perseguitare le notti dei carcerati causando una malaria endemica che ne indebolisce sia il corpo che lo spirito. Gli oltre duemila carcerati attualmente presenti sono più del doppio della sua capacità. Non c’è spazio per stendersi a terra durante la notte. Si fanno i turni e a un orario prestabilito tutti assieme ci si gira sul fianco. Così fino all’alba. Dove solo accovacciati è dato di sonnecchiare, la notte si trasforma nel tempo della veglia mentre tutta la prigione risuona dei canti che varcano le mura del carcere, con una nenia infinita a consolare gli anni migliori sprecati. Alle cinque di mattina è il chiavistello che si apre a fare da sveglia. Fuori, finalmente all’aperto, nel buio che precede l’aurora sono le ombre a muoversi veloci per guadagnarsi l’accesso a un bagno intasato, unica alternativa al secchio maleodorante della cella, e alla poca acqua che nella notte ha riempito i catini e permette di lavarsi. La giornata è lunghissima. Sebbene la pena sia “ai lavori forzati”, non c’è mai nulla da fare. Il carcerato anziano ha autorità assoluta sulla vita e sulla morte di tutta la sua camerata. E’ chiamato nyapala ed è il primo nemico da cui difendersi. Il detenuto può essere venduto per una sigaretta. Può essere merce di scambio sessuale. Quando un organismo non governativo ha proposto di distribuire gratuitamente i preservativi nelle carceri, è stato definito un reato criminale. L’omosessualità è reato in Malawi. E sono troppi i ragazzi che entrano in prigione per furto e escono ammalati di AIDS. Farina, fagioli e sale vengono distribuiti senza piatti e senza condimento.

Ma c’è spazio per un modello diverso di carcere. Questo l’ho visto di persona quando abbiamo introdotto il programma scolastico in tutte le carceri. Carcerati che diventano maestri e insegnano ad altri carcerati. Con il più alto livello di promossi di tutto il paese. Ogni anno, da troppi anni, assieme a un giudice e un magistrato ripercorro le 27 carceri del Malawi per stilare un rapporto che riesca a impietosire i parlamentari e convincerli che il sistema giudiziario crea carcerati a vita, gente che non uscirà mai di prigione. Abbiamo fatto tanti incontri. Il sistema giudiziario ha dato la sua approvazione. Le guardie carcerarie già hanno inviato il loro personale per corsi di formazione per un progetto alternativo alla punizione e al degrado. La cittadina di Balaka ha offerto un terreno vasto e sufficiente: ci saranno le costruzioni ma anche la fattoria e un laboratorio.

Ci serve una prigione. Una prigione modello per dire che è possibile cambiare. Per provare che sbagliare non è per sempre. Che si può ricominciare.

Andrò in giro per il mondo a chiedere, a gridare aiuto: ci serve una prigione per cambiare un paese.

(Progetto e fotografie di Luciano Perbellini)

img001

img002

img003

img004

img005

img006

img007

img008

img009

img010

img011

img012

img013 

Posted in: SCRITTURE