Posted by on 18 settembre 2016

 
 
 

André Kertész di Paola Palmaroli 

Forse più di ogni altro fotografo, André Kertész scoprì e dimostrò la particolare estetica e funzionalità della piccola macchina fotografica. Queste piccole macchine sembravano in un primo momento da non prendere in seria considerazione dal tipico professionista con il suo approccio diretto al soggetto. La maggior parte di coloro che usarono piccole telecamere cercarono di fargli fare quello che la grande macchina fotografica otteneva al massimo grado, ovvero una descrizione analitica e precisa di ciò che si ritraeva.

Quando fu commercializzata la prima fotocamera Leica – 35 mm – nel 1925, sembrava fosse stata progettata e costruita per l’occhio di André Kertesz. Come era accaduto al suo collega ungherese Moholy-Nagy, Kertész scoprì ed amò fin dall’inizio l’approccio diretto tra modello e spazio. Il piano del quadro visualizzato nelle sue fotografie è come un trampolino teso e resistente e in ogni sua immagine la metà opposta delle linee convergono verso un punto di fuga nello spazio più profondo, mentre l’altra metà della visione assomiglia alla rete intessuta da un ragno, una superficie da cui penzola il soggetto come fosse una mosca catturata dal fotografo e dal piano visivo dello stesso.

Aggiungete a questa splendida ed originale qualità dell’invenzione formale di Kertész un’altra dote meno percepibile e poco conosciuta di questo fotografo, scarsamente analizzata ma non per questo meno importante, per la precisione soffermiamoci su quale fosse per lui il senso della vita, un dolcissimo piacere libero ed infantile indirizzato verso la bellezza del mondo e verso la preziosità della vista, una qualità intrinseca della natura umana. I professionisti della sua epoca amavano descrivere in modo analitico, chiaro e preciso i loro soggetti e Kertész quando iniziò a fotografare nel 1912 non era molto interessato a questa prospettiva con cui la realtà veniva sviscerata ed interpretata dai fotografi di quel tempo. Egli cercò sempre di cogliere la rivoluzione della visione ellittica, il dettaglio inaspettato, il momento effimero, non l’epopea ma, la verità in se e per se. Quando la prima fotocamera 35 mm della Leica fu commercializzata nel 1925, a Kertész sembrò che fosse stata progettata per il suo occhio.

“Scrivo con la luce,” una volta disse del suo lavoro. In una delle più lunghe e più produttive carriere che si conoscano, Kertész creò una vasta narrazione lirica che contribuì a plasmare la storia della fotografia. Usò la fotocamera per mettere in discussione, registrare e testimoniare il suo rapporto con il mondo e con la sua arte. Tre furono i periodi fondamentali del lavoro di Kertész : in Ungheria (1912-1925), in (1925-1936) e negli Stati Uniti (1936-1985). Famose sono le sue “distorsioni” come pure le sue opere a colori. Nato nel 1894 in Ungheria e morto nel 1995 a New York Kertész creò immagini in bianco e nero di grande bellezza sia formale che di contenuto e, fotografo ininterrottamente per oltre 70 anni. Pioniere del genere street photography che privilegia la strada come tema da sviluppare, egli ebbe una profonda influenza su fotografi come il grande Henri Cartier-Bresson. Alla domanda su Kertész, riguardo alla sua opinione su questo fotografo, Henri Cartier-Bresson rispose: “ Tutti noi dobbiamo qualcosa a Kertész ” aggiungendo “Qualunque cosa noi abbiamo fatto, Kertész l’ ha fatta prima.” Un altro famoso fotografo suo amico, Brassai, disse: “ Kertész ha due qualità che sono essenziali per un grande fotografo: un’insaziabile curiosità sul mondo, sulle persone e sulla vita ed un senso preciso della forma”. Ogni fotografo di street che desideri saperne di più sui maestri della fotografia ha bisogno di conoscere le opere di questo autore.

Portò con sé sempre la sua macchina fotografia anche durante la Prima Guerra Mondiale. Da un intervista leggiamo direttamente i suoi pensieri: “ Portavo una macchina fotografica con me ovunque! Quando ero in guerra in prima linea, trascinavo i negativi su lastra in una custodia di metallo posizionati sulla schiena. Gli altri ragazzi mi dicevano che ero pazzo, io rispondevo loro che se sopravvivevo a questa vita, allora avrei rappresentato il suo sviluppo, se non lo avessi fatto sarebbe stato come rinunciare alla mia stessa volontà di vivere. Mio fratello minore ebbe una grande idea e me la illustrò in una lettera che ricevetti al fronte. Prendere le lastre 9 per 12 centimetri e tagliarle in quattro. Ovviamente trascinandomi dietro lastre 9 per 12 centimetri massicce era a dir poco faticoso e mi procurava un dolore enorme alla schiena. Per rendere la mia macchina fotografica più adatta ad essere trasportata, durante le marce, ebbi così l’idea geniale di tagliare le lastre di vetro in pezzi più piccoli, trasformando la mia macchina fotografica in portatile. In un villaggio, di notte, andai a cercare un luogo completamente buio e con uno strumento per tagliare il vetro misi in una scatola non 12 lastre per fotografie ma ben 48. La macchina fotografica era così più piccola e ciò rese molto più agevole per me portarla in giro nello svolgimento delle mie attività quotidiane. Ciò significava che così piatta la macchina poteva scivolare in tasca. Parte del nostro reggimento fu fatto prigioniero dai russi, affrontammo una marcia forzata per 48 ore senza interruzione, con soli pochi minuti in piedi per strappare un po’ di sonno, per prendere qualche boccone di cibo, poi di nuovo in cammino. Io ogni tanto uscivo dai ranghi per scattare foto sulla colonna e poi rientravo nella stessa a marciare. Ero solo uno dei tanti, non ero in grado di fotografare molto mentre la guerra era in corso, siamo stati sempre in prima linea e dietro di essa. Ho sempre avuto una macchina fotografica in miniatura con me nella parte anteriore della mia divisa, per avere la possibilità di strappare istantanee informali. A differenza dei fotografi professionisti che registravano gli avvenimenti della Guerra, sempre in giro con macchine fotografiche e cavalletti giganteschi che usavano solo quando le battaglie erano terminate, al fine di ottenere fotografie in loco che mostrassero la distruzione, io riprendevo i soldati mentre marciavano e vivevano la loro difficile quotidianità. Sapevo che la vita era troppo breve per non essere colta in tutte le sue manifestazioni, anche durante una guerra. Non sappiamo mai quando stiamo per morire e spesso ritardiamo la realizzazione delle nostre passioni ed i sogni al posto di un lavoro stabile, redditizio, per una bella macchina, e una casa di tre camere da letto con staccionata bianca. Sono cresciuto nella campagna ungherese ed anche se ho goduto una vita tranquilla sapevo che c’era di più nella vita di quello che scorgevo in quegli orizzonti familiari. Uno dei miei sogni era di recarmi a Parigi ed anche se fui scoraggiato dalla mia famiglia decisi di andarci comunque. Raggiunsi questa città a 30 anni senza sapere il perché, l’unica cosa di cui ero certo era che dovevo andare proprio in quella città. Avevo una piccola somma di denaro per mantenermi e, mi fu utile per un po’ di tempo. Avevo soprattutto la mia potenza creatrice ed i miei sogni. Eravamo in tre fratelli, mio padre era morto, mia madre desiderava che la famiglia restasse unita. Nel 1925 invece mi disse che se volevo ancora andare allora dovevo farlo subito lei non desiderava trattenermi. Aveva capito che l’Ungheria non era il posto giusto per fare quello che desideravo fare. Così un giorno mi disse: “Hai ragione figlio non c’è posto per te qui, quello che vuoi realizzare qui non è possibile. Vai ragazzo”.

“Raggiunsi negli anni venti Parigi e lasciando la mia casa, lavorando duramente. con perseveranza e fortuna, il mio lavoro cominciò a fruttare diffondendosi in giro per la capitale francese. Le mie fotografie venivano portate letteralmente in giro, di mano in mano, nei caffè, per esempio, così sempre più persone ebbero modo di conoscermi. Non ho mai avuto il fiuto per gli affari e diedi via molte delle mie foto di allora a conoscenti ed amici. Oggi valgono quindici o ventimila dollari ma non ho guadagnato nulla dal mio lavoro di quel periodo. Dopo 14 mesi che ero a Parigi un commerciante organizzò una mostra e a poco a poco ricevetti inviti ovunque. Ho portato avanti la mia ricerca tramite tutto quello che avevo assorbito a Budapest, il mio spirito si adattava perfettamente a quello francese. Scrissero che quello che fotografavo era impregnato dello spirito di Parigi e non sapevano che per metà del mio lavoro dovevano ringraziare Parigi e per l’altra metà Budapest. Non tutti hanno la possibilità di viaggiare o di perseguire i propri sogni però penso che indipendentemente da tutti i fattori che determineranno la nostra esistenza si ha sempre la possibilità di realizzarsi se non manca la volontà. Per un fotografo di street se si ha una famiglia e dei bambini potrebbe essere difficile trasferirsi a Parigi e non sarà facile incontrare altri fotografi di street locali, organizzare mostre, libri, scattando per le strade quando si ha del tempo libero, per esempio nella pausa pranzo o nei fine settimana. Mi sono riproposto sempre questo obiettivo. “Segui i tuoi sogni ed essi ti porteranno dove vorrai essere!”

Kertész è famoso per il punto di osservazione delle sue immagini, più alto rispetto alle immagini di street canoniche. Infatti trasformò le strade in qualcosa di più di un’astrazione mostrando una prospettiva nuova che normalmente non si coglie. La maggior parte delle fotografie di street sono scattate a livello del suolo che può rendere le stesse più grandi ma visivamente anche più banali mentre scegliere un punto di vista più alto crea nuovi racconti, permette di cogliere dettagli facilmente sfuggenti. Provate a prendere l’ascensore fino all’ultimo piano di un palazzo composto da appartamenti o da uffici e fotografate dall’alto verso il basso quello che osservate. Scoprirete che questo è un modo molto particolare di avvicinarsi alla street photography, che è possibile trasformare i soggetti in astrazioni di luce, in ombre e forme, concentrandosi sulla geometria e la forma dello spazio. Egli ha infuso nel suo lavoro il senso della composizione basata sulla geometria e la forma e, dipinse veramente con la luce considerando l’angolo in cui la luce colpiva il suoi soggetti e le ombre che la proiettavano, valutando sempre il contrasto tra neri e bianchi. Durante le riprese per le strade Kertész integrò le forme e le figure in primo piano con lo sfondo per dare più eleganza e forma ai sui scatti. In questo modo Kertész dimostrò che le foto scattate e quello che vedeva era non solo attinente alla realtà ma anche in prospettiva estremamente stimolante e ricco di dettagli, concentrandosi sulla forma e la prospettiva delle stesse strade. Anche con le nature morte mantenne il suo occhio acuto fotografando forme apparentemente banali come forchette, bicchieri e fiori, perché niente era troppo normale per non essere fotografato e quando riprendeva tali oggetti evidenziava la loro bellezza e l’eccezionalità del banale. Tenendo d’occhio la composizione con uno sguardo acuto verso l’ordinario egli dimostrò che come si fotografano la famiglia ed i bambini concentrandosi sull’inquadratura e sulla composizione si può fotografare la tazza di caffè mentre si beve, prendendo in considerazione la luce e gli elementi di forma e spazio. Inoltre, approfondire la propria cultura studiando libri d’arte, visitando musei e guardando come altri artisti sono stati in grado di comporre splendidamente e fotografare ciò che vedevano, gli permise nel tempo di allenare l’occhio a diventare intuitivo nei confronti della composizione. Un’eredità la sua grandissima che è giunta fino a noi intatta in tutto il suo splendore come ideazione e realizzazione.

Durante la sua vita sperimentò con diversi mezzi la fotografia, scattò con lastre di vetro, 35 mm, su Leica, verso la fine della sua esistenza con una Polaroid SX-70. Kertész usò differenti focali per realizzare la sua visione artistica, segno questo della sua crescente preoccupazione per le questioni formali poste in essere dal mezzo usato. Nel 1927 durante una visita a Montmartre guardando verso il basso una scala pubblica rimosse l’elemento frontale dal gruppo ottico sulla sua macchina fotografica Voigtländer , il risultato fu un leggero effetto da teleobiettivo che appiattì la scena e quindi rese la funzione immagine più come una superficie bidimensionale. Ciò piacque a tal punto che sviluppò diversi modi per migliorare questo effetto con l’acquisizione di lenti su misura che andavano da 90 a 260 millimetri. Grazie alla sua elasticità mentale e creativa ad esempio se non ci piacciono i colori con le riprese in digitale si può sperimentare con una pellicola a colori, se pensiamo che le immagini non sono abbastanza intime proviamo a riprenderle con un obiettivo più ampio: vogliamo una minore distorsione nelle immagini e forse usando un obiettivo più lungo possiamo ottenere quello che cerchiamo. Un equipaggiamento non deve ostacolarci e dobbiamo sempre dar sfogo alla nostra creatività, questo ci ha insegnato Kertész.

Per questo fotografo vedere non era sufficiente, doveva sentire ciò che fotografava. Egli racconta: “Credo che le immagini più memorabili siano quelle che si toccano su base emotiva. Le fotografie che hanno colpito dritto allo stomaco e si imprimono sulla vostra memoria, queste possono essere foto sia tristi che tragiche, foto che esprimono felicità e ricolme di vita, oppure strane e stravaganti. Ritengo che le emozioni espresse siano più importanti della tecnica stessa. Essa non è così importante, le emozioni sono nel sangue, gli eventi e l’umore con cui sono percepiti è più importante di una buona luce. L’emozione è presente nel divenire di ciò che si trova, è il quid che fa la differenza. Se volete scrivere dovrete imparare l’alfabeto, scrivi e scrivi ed alla fine otterrai una bella calligrafia, segni composti perfettamente ma, non è l’alfabeto che fa la differenza, piuttosto ciò che si sta scrivendo ed esprimendo, l’alfabeto è il mezzo, la macchina fotografica, ciò che si sta scrivendo è l’occhio, l’emozione, l’umore con cui si coglie un evento, una situazione, un oggetto. Le fotografie possono essere tecnicamente perfette ed anche belle ma non possedere alcuna espressione. Quando si è fuori per riprendere la vita per le strade, non bisogna essere attratti solo da belle forme, dalle luci e dalle ombre, piuttosto cercare le emozioni che procura tutto ciò che vediamo. Cercare gesti delle mani che segnalino come una persona si senta, lasciate che il vostro cuore vi guidi durante le riprese per le strade. E’ anche possibile lasciare che le vostre emozioni vi indichino cosa e come riprendere un dato evento incontrato per strada ed anche durante il processo di sviluppo delle immagini ciò è rilevante, piuttosto che limitarsi a giudicare le proprie foto in base a ciò che viene composto ed inquadrato bene, giudicate le vostre immagini in base al fatto che abbiano un impatto emotivo. Se una fotografia non riesce a suscitare qualsiasi tipo di emozione, perfino in voi stessi, che l’avete scattata, consideratela morta.”

Sempre da Kertész : “Bisogna essere pazienti per cogliere il momento giusto, il momento si impone sempre nel mio lavoro, quello che sento lo faccio, questa è la cosa più importante per me. Tutti possono guardare ma non necessariamente vedere, non ho mai calcolato o preso in considerazione un dato aspetto precipuo, vedo una situazione e so che è quella giusta, anche se devo tornare indietro per ottenere la corretta illuminazione.” La fotografia era per me uno strumento perfetto per vedere il mondo , non guardare solo a persone, luoghi e cose ma vederli veramente ad un livello più profondo seguendo l’istinto. Se non sarete mai certi di quale sia il “momento giusto”, pazientate allora e scattare quando saprete che la composizione è quella che cercavate ed avevate in mente, quando la sentirete completa”. Kertész andava in giro osservando i soggetti da varie angolazioni fino a quando gli elementi dell’immagine si disponevano in una composizione che piaceva al suo occhio. Grandi composizioni in una foto scattata in strada sono difficili da ottenere perché il caos regna sovrano in questi contesti e riprendere tutto quel disordine e creare forme eleganti non è facile. Kertész prendeva in considerazione due aspetti: il primo era costituito dalla luce da studiare quando si sta per fotografare. Se vedete che la luce non è buona, si sceglie un momento migliore e si ritorna in un secondo tempo sulla scena. (Durante l’alba, oppure al tramonto si ha l’ora d’oro). Il secondo aspetto invece comprendeva l’osservazione di una scena da diverse angolazioni, quindi nel momento in cui si vedeva qualcosa che valeva la pena di fotografare si dovevano muovere i piedi e guardare la scena da diverse prospettive, scegliendo quale fosse la più gradita per l’occhio.

Dilettante è qualcuno che fa qualcosa per amore piuttosto che per un guadagno di qualsiasi genere, notorietà compresa. Kertész diceva di se stesso: “ Io sono un dilettante e intendo rimanere tale per tutta la mia vita. Attribuisco alla fotografia il compito di registrare la reale natura delle cose, la loro vita, entrando al loro interno. L’arte del fotografo è una scoperta continua, che richiede pazienza e tempo, una fotografia trae la sua bellezza dalla verità con cui è registrata, scattandola, per questo motivo mi rifiuto di usare tutti i trucchi del mestiere e del virtuosismo professionale che potrebbe farmi tradire la mia intera carriera. Appena trovo un argomento che mi interessa lascio alla lente per registrarlo la facoltà di essere veritiera. Una volta trovato un tema od un concetto che ci interessa bisogna abbracciarlo completamente e utilizzare la fotografia come mezzo per registrare quello che si trova guardando verso di esso in modo schietto e sincero. Scattare delle fotografie per strada è un modo per registrare quello che si vede nella vita e renderla così bella ed immortale”. Kertész ebbe un riconoscimento tardivo per il suo lavoro e, a 90 anni non smise di creare, dando vita ad un nuovo portfolio. Quando gli fu chiesto cosa lo stimolasse rispose: “ Sono ancora affamato!” e ciò dovrebbe essere interpretato come fame per compiacere se stessi, piuttosto che la fame di essere accettati dagli altri.

Continuate ad andar fuori a scattare, continuate a farlo ed ignorate cosa gli altri pensino di voi! Scattare una foto come Kertész , saper trovare una buona composizione, esprimendo allo stesso tempo una forte emozione è la lezione più grande che ci lascia in eredità questo straordinario autore di capolavori che fanno parte della storia della fotografia.

 

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