Posted by on 1 settembre 2014

 
 
 

 

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Lorenzo Crinelli ( pittore e grafico) commenta Annalisa Marino 

L’ambiente con il suo squallido asettico aspetto di bagno pubblico a pagamento, di gabinetto d’ospedale che odora di cloroformio o di candeggina e dove nessuno entra per il cattivo odore e dove tutto accade e nessuno si accorge di niente, sembra essere, per evidente contrasto, il luogo migliore per lasciarsi andare a inquieti, insulsi abbandoni, iniqui pensieri e desideri forse di morte. D’altra parte pur non avendo nessuna certezza, anzi evidenti dubbi, sulle intenzioni e risoluzioni della ragazza trovarsi in un luogo così determinatamente alienante fa pensare soltanto a risoluzioni finali e lo stesso corpo disteso, la testa piegata e le braccia penzoloni, come fosse un inutile pezzo di carne abbandonato a se stesso, lasciano poco spazio a emozioni diverse. Resta a far compagnia alla figura, il silenzio, il vuoto ambientale e quello interiore che forse omai non c’è più, il profumo acre del luogo a cui si unisce il buio di un inutile gesto. Una mia lettura come molte altre possibili…nel bagno c’è una porta leggermente aperta e forse anche una possibile via di uscita.

 

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Gorgoglio del tempo,

Risacca della memoria,

vuoto pneumatico.

Il pensiero s’arrotola,

S’aggroviglia,

Concentrico,

Con forza centripeta s’accolla.

Un passo e lo spostamento accade,

Senza peso e gravità,

Lontano da qui in un dove

Che è l’altrove.

Profumo di mare, sale e alghe,

Incendia gli umori,

Le sinapsi elettrizzate s’innescano,

Il meccanismo arrugginito,

Oliato dalle pulsazioni,

Riparte.

La gola soffoca, annaspa,

Vibrazioni di echi sonori,

Carambolano strozzate.

Passi sincopati,

Come note di jazz,

(contrabasso greve),

Il percorso si delinea sullo spartito.

Poi si fa strada,

Come sangue pulsante,

Fluido e denso nel suo corso,

Energia, moto, s’anima

Riparte, singhiozza, sussulta,

Spasima,

E l’anima si trasforma,

E rinasce,

Ancora….una volta.

(Ivano Mercanzin) 

 

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Conversando con  Annalisa  Marino

“In alcuni miei progetti fotografici cerco di trasmettere quella parte di me, quel guardarmi da fuori, che arriva casualmente, cerco con il pensiero di raccogliere tutte le mie emozioni e di concentrarle nelle immagini.

Questo accadde mentre cerco di guardare me stessa, di guardarmi con il coraggio di chi ha paura di vedere oltre, di guardare se stesso con le fragilità, i dolori, e tanto altro.

Ci sono progetti fotografici a cui non metterò mai fine perché sono in continuo divenire.

Le mie foto raccontano me: attraverso i percorsi che scelgo di esprimere, per esempio Eva Prologue le fleur du mal, Cicatrici, “7”, racconto le paure, le fragilità , lo specchio del bene e del male : guardare, sentire, percepire lo sprofondare, il lasciarsi cullare dalle emozioni e chi le vive, permettendosi di sentire, viene scaraventato in una realtà sociale dove le cose ancora estremamente vere, pulite, umili, vengono schiacciate, “il male di vivere”.

Ma la mia é  una donna a cui lascio nelle mie immagini uno spiraglio, una speranza, lieve, impercettibile, unica: la speranza di riemergere dall’oscurità per arrivare alla luce”.

 

Spesso il male di vivere ho incontrato

era il rivo strozzato che gorgoglia

era l’incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

(Eugenio Montale)

 

 

 

 

 

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