Posted by on 25 maggio 2016

 
 
 

Se questo è un giovane di Tania Piazza

E’ Primo Levi a venirmi in mente, subito, e prendo spunto dal titolo del suo celebre romanzo per dire che, se questo è un giovane d’oggi, ben venga.

Ho accolto con molta curiosità la mail in cui mi si chiedeva di leggere il tema di Maria, una ragazza di quattordici anni, svolto a scuola sull’argomento della Memoria. E ho letto con grande, grande piacere dell’anima le sue parole. La prima cosa a colpirmi, lo ammetto, è stata la storia e la sua costruzione (ho un debole, si sa, per chi sa inventare e strutturare un racconto con una certa originalità). A questo proposito, auguro a Maria di seguire la sua indole che, se quanto intravvedo io tra le sue righe è vero, la porterà a provare ristoro nello scrivere e a farne, chissà, una professione.

Ma qualche attimo dopo aver terminato e digerito la lettura del tema, è stato un altro il mio pensiero, ed è quello che voglio condividere ora: la sensibilità e la delicatezza che un’adolescente ha saputo dimostrare nel trattare un argomento così infausto e terribile, che ha segnato irreversibilmente la storia dell’umanità. Che ne sa Maria della sofferenza di quei poveri uomini costretti a morire senza una dignità? Come può immaginare la portata del dolore e dell’impotenza, della disgrazia e della tragedia? Ecco, è proprio questo a fare del suo tema qualcosa di grande: l’umiltà con cui si è posta a cercare di avvicinarsi (non scrivo immedesimarsi, perchè questo è, per ovvi motivi e per nostra fortuna, impossibile), per un attimo, ai sentimenti di una ragazza di settant’anni fa, per capire l’essenza dell’amore e l’essenza del dramma. Per porli ai nostri giorni, a fianco della vita più facile e, a tratti, più superficiale che, chissà quante volte, abbiamo pensato sia condotta dagli adolescenti di adesso. Vicino a internet e a facebook, al cellulare e agli incontri online, alle discoteche e alla velocità delle comunicazioni che non prevedono più i rapporti epistolari.

Mi sento di fare i complimenti a Maria e chi le sta accanto, alla famiglia che la sta crescendo e agli insegnanti che le spiegano la storia. Questo dimostra ancora una volta che i figli sono un prezioso investimento e che è dovere di tutti farli crescere con una coscienza il più possibile ricca e sensibile.

Brava Maria. Se questo è un giovane d’oggi, allora ben vengano i giovani d’oggi. E ora, gustatevi il suo tema.

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foto 2015©Ivano Mercanzin

Voci dal tempo delle croci uncinate

Immagina di dare voce ad alcuni personaggi che hanno vissuto la tragica esperienza delle persecuzioni razziali e della segregazione nei ghetti e nei Lager nazisti, scrivendo, dal loro punto di vista, frammenti di diario, biglietti con richieste di aiuto o brani di lettere mai spedite.

Era una pallida mattinata di giugno, un po’ troppo fredda considerando che ormai l’estate era giunta. A me però andava bene così, odiavo l’estate e anche se era iniziata da poco non vedevo l’ora che ritornasse l’inverno, con la tipica brezza mattutina e il fumo che esce dalla bocca ad ogni sospiro.
Quella mattina sembrava una come tante altre.
Anche se i Lager erano stati scoperti e chiusi solo da due mesi a me sembrava già passata un’eternità.
Forse perché da quando Elias era scomparso, come una nube di fumo soffiata via dal vento, le mie giornate erano diventate tutte uguali.
Mi svegliavo la mattina presto e andavo a casa della Signora Finn.
Dovevo ritirare il suo bucato e una volta tornata a casa dovevo passare tutto il giorno per stirarlo alla perfezione. Quella zitella antipatica faceva storie anche per una misera piega praticamente invisibile. Ma guai a protestare, ti avrebbe spedito a casa senza nemmeno un soldo in tasca.
Ogni giorno la stessa identica storia.
Ma quel giorno no, quello era un giorno diverso.
Mi ero preparata e stavo per uscire di casa, diretta verso la casa della Signora Finn, quando sentii bussare alla porta.
Incuriosita la aprii e mi ritrovai davanti Adam.
Rimasi a bocca aperta.
Adam era il migliore amico di Elias, erano usciti insieme il giorno in cui non avevo più rivisto il mio ragazzo.
Pensavo che, come quest’ultimo, anche Adam fosse morto, e invece era lì, difronte a me, a scrutarmi con i suoi penetranti occhi verdi.
Lui capì il mio stupore e mi abbracciò, cercando di confortarmi.
Lo feci accomodare in casa e ci sedemmo davanti al tavolo.
Iniziò a raccontarmi cos’era successo in quei lunghi otto mesi di assenza: lui ed Elias erano stati catturati dai nazisti e rinchiusi in un Lager. Elias però era stato ucciso, non volle dirmi come e da chi, continuava a ripetere che sarebbe stato troppo difficile per lui da raccontare e per me da ascoltare e nonostante le mie continue insistenze rimase di quell’idea.
Mi disse comunque che Elias scriveva ogni giorno un diario, voleva darmelo quando tutto sarebbe finito e rileggerlo con me al suo fianco.
Purtroppo però lui non c’era più, ma Adam volle consegnarmelo lo stesso.
Lo ringraziai abbracciandolo e lo salutai, volevo leggerlo da sola.
Per tutto il racconto di Adam non avevo versato una lacrima, ero rimasta fredda, forse perché me lo aspettavo.
Ma in quel momento, mentre slacciavo il laccio che avvolgeva il taccuino di cuoio marrone, sentivo i miei occhi color ghiaccio inumidirsi piano piano.
Le mie mani tremavano e quell’operazione fu più difficile del previsto.
Dopo aver finalmente aperto il diario iniziai a leggerne il contenuto, erano molte pagine ma qui di seguito voglio riportarne solo due: la prima e l’ultima, per far capire quanto un uomo possa cambiare quando soffre.

06/10/1944

Cara Hanna,
sono passati tre giorni da quando sono arrivato qui, a Birkenau. Ho deciso di scriverti ogni giorno così quando tornerò a casa e ti chiederai dov’ero finito, potrò rileggere insieme a te questi scritti.
Mi manchi già tanto e Dio solo sa quanto vorrei poter tornare da te e riabbracciarti.
Non temere comunque, io sto bene.
Sono qui con Adam e come sai lui è in grado di tranquillizzare le persone anche nei momenti più difficili. Alla fine qui non si sta malissimo come dicono, ci fanno lavorare duramente, sì, ma ci danno da mangiare del cibo commestibile ed è già abbastanza, no?
Appena arrivati ci hanno tatuato un numero sul braccio, secondo me è perché, tanti come siamo, non potranno mai ricordarsi tutti i nostri nomi, e così ci chiamano con questo numero. Non mi dispiace tanto, sai quanto odio il mio nome e almeno così non lo dovrò più sentire nominare.
Ora devo andare, è tardi e domani mi aspettano molte ore di lavoro.
Tuo,
                                                   Elias

20/01/1945

Cara Hanna,
sono rinchiuso in questo posto da più di tre mesi e sento di non farcela più.
Ormai non mangio quasi più niente, ho perso l’appetito e la voglia di vivere.
Le mie gambe non reggono quasi più il mio corpo e cammino a fatica. Lavorare diventa sempre più difficile e sento che presto mi manderanno in una di quelle “docce”, così le chiamano i nazisti.
Tutti ormai sappiamo che quando entri in quel posto non ne esci più vivo.
Io cerco di fingere di star bene e di avere ancora la forza di lavorare ma diventa sempre più difficile.
Se non fosse per Adam, a quest’ora sarei già morto, lui mi copre e fa credere alle guardie che io sia in ottima salute, ma entrambi sappiamo che ormai non mi resta ancora molto.
La tua mancanza ormai è sempre più opprimente e spero tanto che tu a quest’ora mi abbia dimenticato.
Non voglio che tu soffra per me, so cosa vuol dire soffrire per qualcuno che si ama e so anche che fa tanto male.
Probabilmente non leggerai mai queste parole, ma io continuo a scriverti, ormai è l’unica cosa che riesce a distrarmi da tutto questo schifo che mi circonda.
Come ti ho già detto prima non ho più voglia di vivere e per questo ho preso una decisione.
Non voglio che ad uccidermi siano loro, quegli animali senza cuore che mi hanno portato qui.
Se devo morire voglio essere io a decidere quando e come e così ho fatto. Questa sarà l’ultima pagina che leggerai, questa notte mi pugnalerò al cuore con un coltello che ho rubato in cucina.
Sento che è la cosa giusta e come ho detto prima non devi soffrire per me. Se mai leggerai queste righe sappi che adesso sono in un posto migliore e che non soffro più.
Fra qualche anno ci rincontreremo, ricordatelo.
Per sempre tuo,
                                                   Elias

 

Dopo aver finito di leggere quelle ultime righe i miei singhiozzi rimbombavano per tutta la casa.
Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso la scrivania.
Iniziai a scrivere di questa pallida mattinata di giugno.
Ed eccoci finalmente qui.
Volevo che chi avesse trovato il mio cadavere capisse il perché, il perché della mia improvvisa morte.
Sono andata a trovare il mio Elias, ecco tutto.